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Registrazione Trib. di Sa n°22 del 07.05.2004
 
 
 
 
 
 
 
 
 

LA TRAGICA FINE DI UN AEREO CHE BOMBARDO' NAPOLI E FU ABBATTUTO AD ACERNO

fontana del vescovo

Nel corso della seconda guerra mondiale la città di Napoli subì numerose incursioni da parte dell'aviazione angloamericana che aveva come obiettivo la distruzione delle installazioni militari e delle industrie che producevano materiale d'importanza strategica ma anche quello di fiaccare il morale della popolazione civile. I morti provocati dai bombardamenti furono migliaia. Molte vite furono risparmiate grazie alla particolare conformazione del sottosuolo napoletano che permise a tanti di trovare nei rifugi antiaerei in esso allestiti un riparo sicuro dalle bombe. Ben poco riuscì a fare la DICAT (la Difesa Contraerea Territoriale) che utilizzava spesso pezzi di artiglieria obsoleti ed era mal diretta. Unico baluardo contro il dilagare dei bombardieri alleati furono i piloti del 22° Gruppo Caccia formato da quattro squadriglie che operavano dall'aeroporto di Capodichino e che avevano come aeroporto di appoggio anche quello di Montecorvino Rovella. Seppure spesso in condizioni di inferiorità di numero e di armamento rispetto alle squadriglie di bombardieri statunitensi, composte di solito da decine di aerei ognuno dei quali poteva contare sulla difesa offerta da almeno 8 mitragliere antiaeree, essi riuscirono in varie occasioni a contenere gli effetti di tali sortite. Recentemente i SALERNO AIR FINDERS, grazie alla fattiva collaborazione di Gennaro Costantino, Luigi Fortunato, Matteo Ragone e Gigino Vitolo, hanno ricostruito la storia di un bombardiere Consolidated B-24 Liberator che lunedì 11 gennaio 1943 bombardò la città partenopea. L'aereo matricola 41-23801, che apparteneva al 515th Bomber Squadron del 376th Bombing Group dell'USAAF, decollò quella mattina insieme ad altri velivoli della stessa squadriglia dall'aeroporto di Abu Sueir in Egitto. Tali quadrimotori dipinti di color sabbia rosato erano soprannominati "Pink Elephants". Al comando vi era il ventiseienne tenente Louis A. Prchal. Al suo fianco come co-pilota si trovava il tenente Eugene L. Ziesel, di 24 anni. Eugene, era stato una promessa del football e del baseball militando nelle squadre della Creighton University nel Nebraska. L'11 giugno 1942 aveva fatto parte dell'Halverson Project n. 63, la prima operazione di bombardamento in Europa da parte dell'aviazione degli Stati Uniti. La missione che aveva come obiettivo le raffinerie di Ploiesti in Romania si concluse in un disastro per gli americani in quanto tutti gli aerei non poterono far rientro alla base per la cattiva organizzazione della missione e la mancanza di carburante. Eugene atterrò con il suo B-24 in Turchia, nazione che a quel tempo era neutrale, e venne internato. Egli fece credere alle autorità turche che il suo aereo aveva bisogno di essere utilizzato periodicamente altrimenti i motori si sarebbero irrimediabilmente danneggiati. Ogni volta che decollava Eugene riusciva a mettere da parte un pò del carburante che gli era stato assegnato. In questo modo raccolse il quantitativo necessario, dopo l'ennesimo decollo, per non rientrare all'aeroporto turco ma dirigersi verso gli aeroporti alleati in Medio Oriente. Quando decollò per la sua ultima missione era rientrato da appena una settimana in servizio attivo. Gli altri 6 uomini dell'equipaggio erano: sottotenente Earl G. Matheny, puntatore; sottotenente Theodore P. Schoonmaker, navigatore; sergente Jess W. Cotham, tecnico e mitragliere della torretta dorsale; sergente Jack B. Lavender, operatore radio; sergente Elwood E. Carr, mitragliere di coda; sergente Roy O. Woody, mitragliere. Quest'ultimo era il più giovane del gruppo essendo nato il 6 giugno del 1925. Roy interruppe le scuole superiori il 15 dicembre 1941, una settimana dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbour, per arruolarsi come volontario. Quando perse la vita, non aveva nemmeno 18 anni. Quell'11 gennaio del 1943 l'allarme aereo venne dato per tempo e l'aviazione italiana fece decollare i caccia per intercettare la formazione statunitense disposta su due squadriglie. Fra quanti si alzarono in volo vi erano il tenente Orfeo Mazzitelli di Salerno e il tenente Riccardo Monaco di Napoli. I piloti italiani disponevano da poco tempo degli ottimi Macchi C.202 Folgore i quali, seppur non potentemente armati, erano molto agili e veloci nelle manovre. Inoltre, giocò a loro favore, un problema che affliggeva gli americani in quel periodo: l'inceppamento delle mitragliatrici provocato dal gelo dell'alta quota. Infatti, nei resoconti statunitensi relativi alla missione di quel giorno il disguido viene segnalato da tutti gli equipaggi rientrati alla base. Mazzitelli intercettò il B-24 del capitano Payne dopo che la formazione, sganciate le bombe in tutta fretta, aveva virato a sinistra per rientrare alla base. Si portò in rotta di collisione con il bombardiere sparando nutrite raffiche al suo indirizzo. Ad un certo punto la mitragliatrice di sinistra si inceppò ma egli continuò imperterrito il suo attacco fino a quando, colpito il motore interno sinistro del quadrimotore, non vide le fiamme investire la cabina di pilotaggio. L'aereo abbandonò la squadriglia e si inabissò a candela nello specchio d'acqua fra Ischia e Procida. Solo 2 uomini riuscirono a lanciarsi prima che l'aereo sprofondasse in mare. Erano i mitraglieri Theodore Drazkowski e Robert Krager che furono fatti prigionieri dai militari italiani. Il tenente Monaco, si diresse verso la formazione che, dopo aver sganciato, aveva virato a destra, per ritornare alla base passando fra i monti dell'Irpinia. Insieme ad altri caccia fece fuoco sui bombardieri. I suoi colpi sortirono l'effetto sperato colpendo il motore di un B-24 che cominciò a rallentare e a perdere quota. Si trattava dell'aereo del tenente Prchal. A questo punto fa luce sull'accaduto la testimonianza resa da Theodore P. Schoonmaker quando venne liberato dalla prigionia. Essa è contenuta nell'IDPF (Individual Deceased Persons File), il rapporto redatto dalle autorità statunitensi per informare i congiunti di Louis A. Prchal sulla sorte del loro caro. Questa documentazione mi è stata messa gentilmente a disposizione da Randy Watkins, appassionato studioso della storia dell'aviazione americana. I rapporti della squadriglia come pure alcune foto sono state invece procurate da Mark Bischof e dagli amici di Archeologi dell'Aria. Il sottotenente Schoonmaker ricorda che il primo assalto da parte della caccia italiana fu indirizzato contro il mitragliere di coda. A seguito di questo attacco egli si accorse che il sergente Carr non rispondeva più al fuoco nemico. Il successivo assalto fu condotto sulla parte centrale del bombardiere quando furono colpiti i motori e il mitragliere della torretta dorsale. L'aereo si ritrovò privo sia di velocità che della maggior parte del suo armamento difensivo. Schoonmaker racconta che il terzo attacco fu quello più devastante e lungo. Per circa 15 secondi l'aereo fu mitragliato sul fianco destro, dalla parte centrale fino alla cabina di pilotaggio. I colpi provocarono un incendio a bordo, distrussero l'impianto per l'erogazione dell'ossigeno e l'impianto radio interno. Secondo la testimonianza del navigatore solo Earl G. Matheny sembrava essere rimasto incolume al devastante attacco ma le fiamme non gli permisero di abbandonare la parte anteriore dell'aereo in cui si trovava e dove venne in seguito ritrovato cadavere dalle autorità militari italiane. Theodore decise così di abbandonare l'aereo lanciandosi con il paracadute. Non vide altri seguirlo e dopo pochi istanti l'aereo precipitò ed esplose in una zona boscosa alle spalle di Acerno. Appena atterrato, venne fatto prigioniero dalla popolazione locale. Le salme dei 6 aviatori recuperate fra i rottami dell'aereo, un corpo non è stato mai ritrovato, furono sepolte nel cimitero di Acerno. Dopo lo sbarco a Salerno esse furono traslate nel cimitero degli U.S.A. di Monte Soprano a Paestum. Nel settembre del 1947 una commissione di inchiesta si recò sul luogo del disastro e ritrovò il piastrino di Cotham ed alcuni effetti personali di Matheny. Venne anche rinvenuto un piastrino intestato a Francis H. Smith. Come si apprende dall'IPDF, Smith era il pilota compagno di stanza del tenente Prchal. Quando nelle prime ore dell'11 gennaio essi partirono per la missione scambiarono per errore i piastrini che avevano lasciato sul tavolo della loro camera prima di mettersi a letto. In seguito fu possibile identificare il cadavere di Matheny ma non quello degli altri aviatori. Le sue spoglie riposano al Sam Houston National Cemetery mentre quelle dei suoi commilitoni si trovano in una fossa comune al Little Rock National Cemetery. Dal bollettino n. 962 emesso il 12 gennaio 1943 dal Quartier Generale delle Forze Armate italiane veniamo a sapere che: "Un'incursione è stata compiuta nel pomeriggio di ieri su Napoli e dintorni; danni non rilevanti: nel crollo di alcuni edifici civili la popolazione ha subito perdite finora accertate in 23 morti e 65 feriti. Tali apparecchi risultano caduti: due nella provincia di Salerno (presso le località di Acerno e Calvanico San Cipriano) uno a Lioni (Avellino) e il quarto in mare tra Ischia e Procida. Alcuni dei componenti degli equipaggi sono deceduti, altri sono stati catturati". Se i danni furono ridotti rispetto a incursioni ben più sanguinose, lo si deve all'intervento degli aviatori italiani la cui audacia fu evidentemente enfatizzata dal fatto di sapere che stavano difendendo le loro case e i loro familiari. Come si apprende dal bollettino quel giorno vennero abbattuti altri 2 aerei che probabilmente facevano parte del 98th Bombing Group. Ulteriori ricerche sono in corso per poterli identificare. Ritrovare il punto d'impatto di questo aereo è stato possibile grazie alla preziosa collaborazione offerta da Gerardo Savino e Aniello Sansone della Protezione Civile di Acerno. Il primo ci ha indicato il punto esatto e il secondo molto pazientemente ci ha condotto sul luogo in una zona impervia e di difficile accesso. Questo tipo di aiuto è di fondamentale importanza nelle nostre ricerche. Spesso coloro che millantano la loro conoscenza dei fatti storici poi vengono meno al momento di verificare sul campo quanto raccontato. Gerardo ed Aniello invece hanno dimostrato la loro profonda conoscenza sia dei fatti che dei luoghi e a loro va il doveroso apprezzamento dei SAF. Questo è il 14° crash aereo ritrovato dai Salerno Air Finders.

Matteo Pierro

 
 
 
 
 
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