Una riflessione del Prof. Vittorio Dini
Non c’è crescita senza democrazia.
La situazione non è certo eccellente. Non lo è se si guarda al mondo intero, attraversato da una crisi che oramai anche i più prudenti, perfino quelli che fino a poche settimane fa ci assicuravano che il mercato avrebbe sistemato tutto, non esitano a definire epocale. Fra i meno imprudenti il nostro ministro dell’economia, l’ineffabile Tremonti che alla vigilia delle ultime elezioni politiche ha sorpreso tutti con una radicale inversione di rotta, trasmigrando armi e bagagli dal più deciso liberismo (beninteso, guidato dagli affari e dalla finanza creativa) ad un altrettanto forte statalismo. Qualcuno, acutamente, lo ha accusato di aver letto, in ritardo, Marx, e lui ha replicato, da buon “primo della classe”, che l’importante non è leggerlo, ma capirlo. Ancora meno eccellente si manifesta la situazione se lo sguardo si rivolge all’ambito nazionale e locale, in particolare al nostro sud d’Italia. Da quando, nel secondo dopoguerra la questione meridionale si è riproposta seppure in termini nuovi rispetto agli inizi del ‘900, e poi, in termini ancora più rinnovati nella seconda repubblica, non si può certo negare che uno sviluppo vi sia stato, una certa crescita economica, ma quello che si è espresso poco, o quasi nulla, è stata l’effettiva autonomia, la crescita non soltanto economica, ma complessiva, di qualità della vita, di libero sviluppo della capacità di autodeterminazione, da parte della popolazione meridionale. Nella più recente fase, negli ultimi decenni, neppure il contributo dei fondi europei è servito a determinare una svolta decisiva. Non solo la distanza tra Nord e Sud, in termini economici, di PIL e reddito, non è diminuita; non solo quasi tutte le regioni meridionali hanno effettivamente impiegato una parte soltanto dei fondi assegnati. La stessa opportunità, l’ultima per l’assegnazione nella prima fascia, dei fondi europei di sviluppo regionale (FESR) per il 2007-2013, presenta ritardi nella presentazione dei progetti da parte degli enti locali della provincia di Salerno. Dunque, anche se nella fase precedente si è riuscito a spendere di più, tuttavia per carenze di progettazione, e per insufficienza di governance e di gestione, il risultato non è certamente entusiasmante e non rassicura per il futuro anche prossimo. Si è speso di più e meglio nelle infrastrutture, ma questo non è stato sufficiente a migliorare in maniera consistente la qualità della vita, le opportunità di progresso, di sviluppo della popolazione, a cominciare dai giovani, che da risorsa rischiano di diventare un peso, tanto da mostrare segni di ripresa dell’emigrazione soprattutto intellettuale verso le regioni del Nord. Questo deve fare riflettere, se si vuole porre rimedio, se si vuole effettivamente invertire la rotta già da ora. E’ certo giusto protestare in tutti i modi contro la riduzione, anzi le riduzioni dal bilancio dello stato delle voci di spesa per il Mezzogiorno; così come è giusto tenere gli occhi ben aperti nei riguardi del federalismo fiscale e delle ulteriori riduzioni che la sua attuazione può comportare per il sud. E’ un fatto che il nuovo governo Berlusconi tende a cancellare non solo la “questione meridionale”, ma ogni interesse alla considerazione verso la condizione specifica del sud. E contro questo atteggiamento, ogni forma di protesta è, più che giustificata, necessaria. E tuttavia, allo stesso tempo, è indispensabile proporre un piano strategico e un metodo adeguato. In primo luogo, c’è un problema di governo delle politiche sociali e di sviluppo. La stagione dei “nuovi sindaci ” ha indubbiamente prodotto significativi avanzamenti nella capacità di decisione e parecchi buoni risultati in molti comuni. Da un lato, la personalizzazione della politica, dall’altro la dimensione sempre più intrecciata dello sviluppo – dal “locale” al “glocale”-, stanno pericolosamente rinchiudendo queste innovazioni e restringendo ad un ambito ristretto quello che la realtà e le stesse aspirazioni della popolazione richiedono di allargare. Dunque, necessita una nuova governance del territorio, capace di leggere istanze, aspirazioni, bisogni delle diverse istanze e quindi con la partecipazione delle parti sociali più impegnate nell’area di riferimento. Investire sempre più i soggetti sociali nelle scelte, nella progettazione, nella gestione delle politiche sociali. In questo modo si possono porre le basi per la crescita dell’autonomia effettiva, la crescita complessiva degli stessi soggetti impegnati. Lo sviluppo non è tanto la crescita del prodotto interno lordo, del reddito, quanto piuttosto la complessiva qualità della vita. Attivare e sviluppare, in altri termini, quelle che l’indiano Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, chiama capacitazioni. Capacitazione è la traduzione dell'inglese "capability", che è qualcosa di più di "ability". Per esempio, se una persona ha la patente per guidare i camion, vuol dire che ha quella particolare abilità, cioè che "sa" guidare un camion. Ma se quella stessa persona fosse detenuta in prigione, non avrebbe la capacitazione di svolgere quel particolare lavoro, non avrebbe cioè la capacità di scegliere se fare o meno quel lavoro. Sen, in Libertà è sviluppo. Perché non c’è crescita senza democrazia, Milano, Mondadori, 2000, distingue tra funzionamenti e capacitazioni (termine infelice per l'inglese capabilities, in altri testi dello stesso Sen tradotto con "capacità"): i funzionamenti sono stati di essere o di fare cui gli individui attribuiscono valore (ad esempio, essere adeguatamente nutriti, non soffrire malattie evitabili), mentre le capacitazioni sono gli insiemi di combinazioni alternative di funzionamenti che una persona è in grado di realizzare. Per chiarire questa distinzione può essere utile riprendere un esempio di Sen: "un benestante che digiuni [...] può anche funzionare, sul piano dell'alimentazione, allo stesso modo di un indigente costretto a fare la fame, ma il primo ha un "insieme di capacitazioni" diverso da quello del secondo (l'uno può decidere di mangiar bene e nutrirsi adeguatamente, l'altro non può)" (p. 79). Ora, osserva Sen, "mentre la combinazione dei funzionamenti effettivi di una persona rispecchia la sua riuscita reale, l'insieme delle capacitazioni rappresenta la sua libertà di riuscire, le combinazioni alternative di funzionamenti tra cui essa può scegliere" (p.80). L'approccio delle capacitazioni può guardare sia ai funzionamenti realizzati sia all'insieme capacitante delle alternative a disposizione, a seconda che ci si voglia focalizzare sulle cose che una persona fa o su quelle che è libera di fare. È, però, preferibile, secondo Sen, concentrarsi su queste ultime, dal momento che "è possibile dare importanza anche al fatto di avere occasioni che non vengono colte; anzi, è naturale muoversi in questa direzione, se il processo attraverso il quale vengono generati gli esiti ha un suo significato" (p. 80). Sen dimostra, che un indicatore adeguato per valutare il vantaggio di una persona è la “capacitazione”, cioè l’espressione della libertà di realizzare diversi tipi di vita alternativi. In questo la dimensione relazionale è importante perché è il luogo dove si esercitano le capacitazioni, attraverso i diritti, lo sviluppo umano, la libertà, la vita civile, il consumo di beni creativi, stimolanti. L’economista riassume tutto questo in una definizione: “fioritura umana”, dove il benessere di una società è proporzionale alla quantità di scelte possibili, di libertà godibili, che le sue leggi prevedono. Questo il grande compito della politica e dell’amministrazione, in particolare nel Mezzogiorno: fare emergere l’autonomia, aprire alle libertà, alle capacitazioni, rendere i soggetti protagonisti del proprio destino. Alle forze politiche meridionali, alle classi dirigenti del sud, questo compito non dovrebbe risultare troppo arduo se, pure da nani, ci rendiamo conto che siamo appoggiati sulle spalle di giganti, tutti i grandi meridionalisti del secolo scorso.
Vittorio Dini
Chi è Vittorio Dini
Vittorio Dini è docente di Storia del pensiero politico e Direttore del Dipartimento di Sociologia e Scienza della Politica presso l’Università di Salerno. Oltre ad aver pubblicato saggi e volumi di argomento filosofico e politico, si interessa di cultura dello sport e si occupa di storia e cultura meridionale e napoletana. Ha pubblicato saggi su Feuerbach, Marx, Adam Smith, Spinosa, sul pensiero filosofico e politico della prima modernità. Dirige con Pierre Lanfranchi la collana Traguardi Culture dello Sport. Ha collaborato con la celebre rivista Ombre Rosse nel comitato di direzione di “ Filosofia politica ”.
Bibliografia
Il discorso delle armi. L’ideologia terroristica nel linguaggio delle Brigate Rosse e di Prima Linea di Vittorio Dini, Luigi Manconi edito da Savelli,1981
Il ruolo dei Parchi Scientifici e Tecnologici nello Sviluppo del Mezzogiorno: il Caso Salerno by Vittorio Dini, Roberto Racinaro - Edizioni Scientifiche Italiane
Lo sguardo di Giustino Fortunato - I sentieri per un nuovo meridionalismo di Vittorio Dini, progetto e realizzazione Segno Associati, by G.A.L. Colline Salernitane
Il Politico Don Fernando Il Cattolico by Baltasar Gracian Y Morales, a cura di Vittorio Dini, Sofcover, Bibliopolis
La Madonna del Parto di Monterchi. I forti poteri delle antiche madri Vittorio Dini 2007, Calosci
Realismo e Mito Politico a cura di Vittorio Dini, Francesco Saverio Festa, Rosario Conforti, Hardcover ESI
Soggetti e Potere: Un Dibattito su Società Civile e Crisi della Politica by Norberto Bobbio, Vittorio Dini a cura di Vincenzo Barba - Hardcover, Bibliopolis.
Tolleranza e libertà a cura di Vittorio Dini , 2001, Eleuthera
Saggezza e prudenza. Studi per la ricostruzione di un’antropologia in prima età moderna Vittorio Dini, Giampiero Stabile, 1983, Liguori
Vittorio Dini Masaniello L’eroe e il mito Tascabili Economici Newton,1995
Il governo della prudenza. Virtù dei privati e disciplina dei custodi Vittorio Dini -Franco Angeli, 2000
Vittorio Dini ,Oscar Nicolaus ,Te Diegum, 1991,Leonardo