A Lia DREI.
A Francesco GUERRIERI.
Maestri e Artisti, anche nel tessere la loro eterna storia di amore.
Alessia e Michela
LE OMBRE PRENDONO CORPO
Di Alessia e Michela Orlando
Si erano oscurate le montagne, poi era toccato ai fiumi, alle valli, ai deserti; le residue foglie di autunno avevano subito il furto dei loro rossi e dei gialli. La neve era, infine, scesa nei campi; foglie nuove forse vincevano il gelo?
Nella mente di Misterya quel racconto si sovrapponeva a rumori spaventosi. Non comprendeva né l’uno né gli altri. Tremava come un fuscello quando una voce nitida parve volerla tranquillizzare:
Da dove eri venuta, io non lo seppi; ma sentivo bene la voce del tuo giovane cuore. Mi diceva che non appartenevi alla mia Terra, che eri venuta da un lassù magico. Oppure eri risalita da inferi sconosciuti. Era comunque un mondo dell'amore. Non poteva che essere così. E il tuo ricordo non è stato mai effimero. Sento il tuo sangue e il mio ribollire al solo sapere della tua esistenza. Un sommovimento che non potrà finire mai. Sei come ogni nota che, dispersa nel vuoto siderale, subito dopo il sorgere, non andrà mai davvero perduta. Sarà sempre viva; farà sempre parte di un concerto in formazione eterna. In ogni momento quella nota saprò individuarla, così come saprò sempre di te. Mai ti dimenticherò.
Rivedo i giorni vissuti insieme; bruciavi ben più di tutti i Soli messi assieme in un solo cratere.
I nostri occhi scrutavano tra ombre e riflessi abbacinanti. Erano in cerca di Amore e di mille distese infinite per spiegare il mondo, dire della sua percezione, e sognare mondi diversi, sempre migliori. Quel tempo finì e venne il gelo nel mio cuore. Le Terre che giravano intorno ai Soli sembrarono fermarsi per riprendere la corsa in senso contrario, allontanandosi dalle proprie stelle. Un viaggio, che avrebbe dovuto non finire mai, si era interrotto. Gli spazi infiniti, sempre crescenti, presero a collassare per ricondurre tutto verso l’UNO.
Quel che mi sembrava di vedere era un mare; ma non avevo più la sensazione che fosse infinito. Mi pareva di vederne i lembi estremi. E sentivo un suono monolitico di sconosciuti strumenti, dal quale traevo la sensazione che ti stessero riportando a me. Il desiderio si faceva sempre più potente; ma sapevo che si trattava di un processo a me sconosciuto. Era una delle tante Creazioni e mi toccava rompere la dura tunica del suono originario, dovevo trasformare l’UNO in una sinfonia di accordi. Non potevo che essere il MAESTRO che avrebbe dovuto dare il LA e con la nota della creazione, più volte insistita e mantenuta viva per almeno sette giorni e sette notti, avrei potuto creare il Mondo Migliore, un nuovo Paradiso. Era il SOL. Dovevo far agitare la nota in un mare di verde inestinguibile. Altri mondi suonavano ancora; li avvertivo e ciò mi disturbava. Desiderai la loro fine e la mia mente vide la distruzione: corpi bruciare; materia disgregarsi tra boati incessanti.
Bocche spalancate, ma mute, raggiunsero la fine prima che potessero gridare. Anche quello era un concerto, ma di morte. Suonava in tutti gli spazi vitali il canto della MADRE NERA e io ero
in prima fila, unica spettatrice. Non mi avvedevo ancora dei tuoi occhi neri su di me e neppure delle tue mani potenti, capaci di imprimere ulteriore potenza a quei fenomeni. Senza una ragione davvero necessaria, credevo fossi io la sola protagonista del NUOVO che avanzava.
Tutto l’esistente se ne andava verso il Mare delle energie spente; per questo io stavo davvero bene e sentivo gonfiare la mia potenza di origine antica. Sapevo che dall’altro lato di quel gorgo nero sarebbe uscita nuova vita, che ti avrei incontrato di nuovo; che i tuoi tuffi sarebbero stati altri tuffi nel mio cuore.
Ritornavano alla mente le note delle passate creazioni; le avvertivo come tracce di altre melodie e avrei voluto saperle cancellare, dare avvio al primo Paradiso, quello che finalmente avremmo saputo conservare intatto quando ci saremmo rincontrati. Sarebbe stato l’unico modo per riparare ai reiterati spregevoli atti di supponenza dell’umanità. Ma tu, inesplicabilmente, ostacolavi il mio desiderio e tracce dal passato tornavano a innestarsi nel presente, minando il futuro. Mi venne il dubbio che tu fossi ben più potente di me e che da un Altrove a me ignoto avessi scoperto altre vie per giungere all’UNO.
Finalmente compresi il tuo ruolo e non vidi altra soluzione che ricacciarti tra le ombre. Ero certo che la mia via mi avrebbe portato alla meta. Sulla tua avevo dubbi, giacché mi era ignota.
Con uno sforzo tremendo, impiegando ogni mia energia, dovetti far luce dappertutto. Feci esplodere tutto ciò che avesse un nucleo, generando incessanti reazioni a catena. E, finalmente, si fece il buio.
Ogni stella lontana, da altre dimensioni, avrebbe potuto vederlo: le ultime luci avevano, infine, ceduto spirando una dopo l’altra. Il buio, adesso impenetrabile, doveva attendere un tempo indefinibile per lasciarsi squarciare. Avvertivo ombre che si muovevano, ma nessuno avrebbe potuto notarle, non fino a che una scintilla avrebbe saputo riappropriarsi della giusta quantità di ossigeno e brillare. Accadde, di nuovo, e qualcosa sembrò godere di vita propria. L’esplosione improvvisa disperse dappertutto lapilli e lava. La vita rinacque.
L’ombra, forse la tua, si mosse come sapesse che quell’altra, la mia, l’avrebbe seguita. Non contava molto quale genere di corpo appartenesse a quelle ombre; contavano solo le note che avrebbero saputo generare. Dalla direzione della seconda ombra si udì una voce, dapprima impalpabile, poi percepibile chiaramente: Com’è notte; tu forse sorridi, da vincente, immaginando che ti avrei chiesto aiuto…
Un’altra voce sopraggiunse: No! Ero certa che mi avresti chiesto altro: cosa c’è di bello nel nero vellutato? E nel rosso infuocato? E nei grigi? E nei gialli...
Guarda le luci;- dico io- lì ci sono tutti i colori e lo sfondo è il nero che li assorbe...
E in te si avvia lo stesso brivido che mi pervade. Non ci sarà altro respiro senza essere all’unisono.
Sempre indissolubilmente uniti, ognuno accanto all’altro; ognuno accanto a sé stesso; ognuno dentro l’altro.
Che bella Creatura è finalmente nata!
E quante foglie nuove si agitano nella notte intensa, dolce quanto mai. Pelli e notte intorno e nel giorno Sole e colori. Le mani catturano amore e carezze alate rivestono il viso; poi tutto il corpo che tremante si fa. Altre magnifiche notti torneranno, seguite da splendidi giorni. Non ci saranno più neppure rapidissimi addii; nessuno dei due dovrà più ritornare per vedersi. Tu sarai sempre così, sempre bella; non dovrò più svegliarti e dirti che sei un ARTISTA, guardandoti negli occhi neri; io non sarò mai più svegliato per sentirmi dire che sono un ARTISTA; non avremo più l’esigenza di starci vicini e non avremo malinconie. Non occorrerà più stringersi per dirci quanto ci amiamo. Perderemo solo un assurdo piacere: la sofferenza degli attimi di lontananza che via via si estinguevano, prima di ogni incontro. Tutto ciò per l’eternità.
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