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Cenni storici sui Piceni e sui Picentini
I PICENI
Nel 299 a.C. ci fu un trattato tra i Piceni e Roma. Tale trattato fu determinato a seguito di una invasione di Galli, che, penetrati in Etruria, giunsero fino al Tevere minacciando la stessa Roma. Come narra Tito Livio ( X 10, 12 ), Roma fu colta da grande terrore per la scorreria dei Galli e subito venne stipulato un patto con il popolo piceno. Fu un’alleanza con pari diritti che diede i suoi frutti quando alcune popolazioni, istigate da Taranto ( Sanniti, Umbri, Etruschi e Galli ) tentarono di scrollarsi di dosso il giogo romano. Nell’odierna Sassoferrato, nel 295 a.C. avvenne lo scontro con la netta sconfitta dei Sanniti. Dieci anni più tardi, nel 285 a.C. i Galli ritentarono la riscossa ; il console Publio Cornelio Dolabella attraversò la Via Salaria e si diresse su Ancona, sconfisse i Galli Senoni e ridusse Sena Gallica ad una colonia. Nel 280 a.C. i Romani furono sconfitti due volte da Pirro, la prima volta ad Eraclea e la seconda volta ad Ascoli Satriano. Ma nel 275 a.C. Pirro venne sconfitto presso Benevento (dapprima Maleventum) e i Piceni, che avevano combattuto al fianco dei Romani, si ribellarono perché vedevano che Roma voleva asservire i popoli confederati e tutto sfociò in una aspra battaglia tra Monteprandone e Spinetoli. In questa battaglia i Piceni ebbero la peggio, spaventati anche da un violento terremoto. Difatti mentre i Romani con il console Sempronio Sofo fecero voto di erigere un tempio alla Dea Tellure, i Piceni, superstiziosi, furono disorientati dal fenomeno sismico, furono assaliti e duramente sconfitti. Pur disorientati, comunque, questi ultimi combatterono con tanto valore da infliggere forti perdite all’esercito romano. Si stipulò un nuovo trattato di pace tra vinti e vincitori e si insediarono nel territorio due colonie, una a Fermo ed un’altra a Castro Novo, quali presidi del territorio conquistato. Parte della popolazione fu deportata in Campania, nel golfo di Poseidon ( Paestum) a popolare e coltivare un territorio compreso tra i fiumi Sele e Sarno, che fu chiamato Ager Picentinus e Picenza ne fu la capitale. Era il 269 a.C. quando ebbe inizio la storia di questa popolazione nel territorio della Campania.
I PICENTINI
I Piceni, quindi, vennero inviati a popolare l’antica Campania tra il confine meridionale della lega Nocerina ed il confine settentrionale della lega Lucana, per l’esattezza occuparono il territorio compreso, come già riportato, tra i fiumi Sele e Sarno. Furono chiamati Picentini per distinguerli dai Piceni rimasti sull’Adriatico, costituirono l’Ager Picentinus e Picenza ne fu il Capoluogo. Di questa gente veniva apprezzata la resistenza fisica che la rendeva idonea ad ogni tipo di lavoro. Uomini forti , abituati al duro lavoro agricolo su colline e montagne, al tempo stesso pratici di mare. Serbavano usi e tradizioni la cui memoria si perdeva nella notte dei tempi e sia il mutare delle ragioni storiche, sia il susseguirsi delle invasioni, non li turbavano affatto. Questa popolazione, comunque, trapiantata con la forza in quelle sedi ed insofferenti per il tradimento e la punizione ricevuta, mirarono ad insorgere ed approfittarono di ogni occasione per sottrarsi al giogo dei vincitori. La cosa non passò inosservata ai Romani, tanto che il Console Acilio chiese ed ottenne la fortificazione di Salerno con l’invio di 300 guerrieri. Tra il 219 ed il 202 a.C., durante la seconda guerra punica, i Picentini ed i Lucani si allearono con Annibale che aveva devastato Campania e Lucania, essi furono degli ottimi alleati, pronti a fornire qualsiasi possibile aiuto. Quando però la stella di Annibale fu in declino, i Consoli Romani punirono le popolazioni alleate, i borghi picentini furono tutti saccheggiati, i campi distrutti e gli abitanti, in maggior parte, sterminati e dispersi per le montagne vicine. Picenza fu rasa al suolo. Era l’anno 201 a.C. I Picentini, rei di tradimento, furono considerati individui reietti, senza libertà, senza diritto di portare armi e sottoposti alla più umiliante schiavitù. La città di Picenza, fu pian piano di nuovo ricostruita, ma con confini più ristretti tra i fiumi Tusciano e Picentino. Queste condizioni di vita peggiorarono molto le cose ed ogni occasione era buona per una ulteriore insurrezione. L’occasione si presentò con la Guerra Sociale (90-88 a.C.) allorché tutte le popolazioni dell’Italia meridionale si armarono contro Roma. La Guerra Sociale fu condotta dal romano Silla a modo suo. Egli scese in Campania nell’ 89 a.C. come legato del Console Catone ed impose ai suoi legionari, che per errore avevano ucciso Postumio Albino, un legato addetto alla flotta, di espiare il sangue versato con il sangue nemico. Le truppe, così fanatizzate, al fine di farsi perdonare l’errore, spezzarono il fronte campano e saccheggiarono tutte le città che capitarono a tiro. Con l’annientamento dell’ultima resistenza della Lega Nocerina in località Santa Maria a Vico, nei pressi del Comune di Giffoni Valle Piana, Picenza fu ancora una volta rasa al suolo ( 88 a.C.).Sullo sfondo di tanta tragedia, città e borgate erano state rase al suolo, i campi ed i boschi erano stati incendiati e si contarono circa trecentomila morti. Distrutta Picenza, i Romani fecero obbligo ai pochi Picentini superstiti, di non poter più ricostruire una città unita, in modo che era più facilmente dominabile in caso di ribellione, e li costrinsero ad abitare per “vicatim e per pagos“ dando origine alla nascita di diversi nuclei abitati sparsi in piccoli villaggi che, nel loro insieme, costituirono una nuova città chiamata Montecorvino. Ai sensi di questa imposizione romana, sul lato orientale del passato territorio picentino,nacque questa nuova città, chiamata Montecorvino per l’abbondanza di corvi sulle sue alture, che originariamente fu suddivisa in 23 casali. Ciascun casale era sottoposto alla sorveglianza di un guerriero romano in pensione, ma, poiché nella maggior parte dei casi, se non nella totalità, nessuno di questi guerrieri si recava in queste zone, tale sorveglianza veniva affidata a famiglie di fiducia del luogo. Queste famiglie, nel tempo, divennero padrone del casale di appartenenza e ne diventarono la famiglia nobile dominante.
Nunzio Di Rienzo |
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