Una loye story del XV secolo raccontata dal nostro collaboratore durante la trasmissione “Sereno Variabile” di Rai 2.
Davide D’Arminio e Maria Teresa Damolidei: I Romeo e Giulietta del Sud
La Montecorvino che vide l’alba dell’anno 1400 era piuttosto malridotta, pochi anni prima, nel 1392, durante la guerra tra Ludovico D’Angiò e Ladislao Durazzo, aveva offerto rifugio nelle mura del Castello Nebulano ai Sanseverino di parte Angioina, potentissimi signori di Salerno. In conseguenza di questo atto Montecorvino fu punita e le soldatesche di Ladislao, capitanate da Alberico da Barbiano, espugnarono di sorpresa il Castello e misero il paese a ferro e fuoco. Ridotta in rovina, specialmente nei suoi nuclei principali di Rovella e Pugliano, offriva uno spettacolo desolante ed eccone l’aspetto di allora ricostruito con lievissimo margine di errore:
- La zona costiera, dal Capoluogo alle porte di Salerno, tranne poche case sparse e qualche appezzamento di terreno, era in preda alla malaria, tutt’intorno acquitrini e gigantesche paludi .
- La zona pianeggiante, intermedia, tra il mare e la collina, intersecata da importanti strade di collegamento, offriva uno sguardo di insieme meno desolante della costa, vaste zone coltivate, in possesso di poche e facoltose Famiglie, si alternavano a folte macchie di vegetazione ed a corsi d’acqua che attraversavano il territorio.
- La zona collinare situata tra i comuni di Acerno, Olevano, Giffoni e Salerno, era quella che aveva sofferto maggiormente seppure furono rispettate le Chiese ed il palazzo Vescovile, altrettanto non avvenne per il resto che era ridotto ad un desolante ammasso di rovine.
In questo quadro, vi era da aggiungere che il suddetto territorio aveva molti padroni: la parte occidentale del Paese, dalla frazione S. Martino sino alla frazione Martorano, Occiano e una ampia fetta di Pugliano, era di proprietà della Mensa Arcivescovile di Salerno, con piccole eccezioni; la parte alta comprendente Marangi, Chiarelli, Votraci e i casali di Cornea e Molenadi con il casale della Strada (Via Iorio – Via Diaz ) erano proprietà del Regio Demanio e anche qui vi erano numerose eccezioni di proprietà private. Il territorio della Mensa, confermato con atto della Regina di Napoli, Giovanna II, del 26 settembre 1417, si interrompeva, quasi bruscamente, tra il casale di S. Michele (S.Filippo ) ed il casale di Castiuli (Piazza Budetta ), ed era qui infatti che si allungavano i possessi di due grosse famiglie: i D’Arminio della frazione Nuvola ed i Damolidei del casale Ferrari. L’avvento degli Aragonesi nel 1442, ridusse notevolmente i poteri dei baroni che, tuttavia, riuscirono ad ingraziarsi il re Alfonso D’Aragona in fatto d’armi. L’intero territorio, nel 1460, passò definitivamente e totalmente al Regio Demanio, inasprendo le lotte intestine tra le famiglie del luogo per il possesso delle terre e per la conquista di un maggiore prestigio presso la Corte Napoletana. Alfonso II, per riconoscenza dell’appoggio in fatto d’armi fornito allo zio Alfonso I, il 24 giugno 1494, insignì 23 famiglie montecorvinesi del titolo nobiliare, e tra queste la famiglia Arminio / D’Arminio con Carlo del casale di Nuvola, e la famiglia Damolidei / Damolidede, con Giulio del casale Ferrari.
Chiesa di Santa Maria della Pace
La lapide visibile a sinistra dell’entrata della Chiesa dice che la stessa fu costruita nel 1518 dopo la fine di orrende battaglie tra due potentissime famiglie montecorvinesi: gli Arminio ( D’Arminio ) di Nuvola e i Damolidede ( Damolidei ) di Ferrari. Si racconta che verso la fine del XV e l’inizio del secolo XVI le due famiglie a causa di gravi interessi economici intervenuti intorno al possesso delle terre, si davano continuamente battaglia facendo strage orrenda dei prigionieri catturati, essi venivano sezionati su un grosso ceppo di albero, le loro carni avvolte in piccoli pacchetti di carta e venduti a caro prezzo alle famiglie originarie al fine di evitare che i resti fossero buttati in pasto ai cani. Allorché avveniva una cattura, il banditore della famiglia che l’aveva operata, si recava nel territorio dell’altra per annunciare l’esecuzione del prigioniero il giorno successivo. Tale giorno diveniva automaticamente un giorno di tregua e all’esecuzione potevano assistere i familiari del prigioniero. Durante una di queste tristissime cerimonie, delle quali l’autore della lapide diceva espressamente HORRESCO REFERENS (inorridisco nel riferirlo ) , avvenne che Davide D’Arminio figlio di Michele D’Arminio e Maria Teresa Damolidei, figlia di Orlando, colpiti dal classico colpo di fulmine, si innamorarono e fu l’inizio di una lunga serie di incontri notturni che avvenivano grazie all’aiuto della complicità di una guardia corrotta. Una sera, a causa del tradimento della suddetta guardia, Davide venne catturato e appena la notizia giunse a Maria Teresa, sfuggendo alle attenzioni dei propri familiari, si consegnò ai D’Arminio nella notte stessa. I Damolidede, ignari dell’operato di Maria Teresa, di buon mattino inviarono il banditore a Nuvola per annunciare di lì a poche ore l’esecuzione di Davide. Durante la cerimonia allestita dai Damolidede per l’esecuzione, i D’Arminio mostrarono Maria Teresa. Intervenne il capo della Comunità di Francescani che sorgeva a poca distanza dal luogo, Padre Beniamino D’Enza, ed esortò le famiglie alla pace ed al matrimonio dei due pupilli. La richiesta venne accolta, la pace fu fatta “ AMPLEXERUNT DEXTRAS MUCRONE REMISSO “ ( abbracciarono le destre dopo aver deposto la spada ). Sul luogo del ceppo venne eretto un tempio a spese delle due famiglie dedicato, appunto alla Madonna della Pace. Il Serfilippo a pag. 91 della sua opera, ci parla di Fra Francesco De Angelis e Fra Pietro De Laudisio quali coadiuvatori di Padre Bernardino D’Enza nella costruzione della Chiesa. La Chiesa fu costruita a tre navate, con lunghezza di 119 piedi ed una larghezza di 73. Nel 1577 vi furono dei lavori di abbellimento della Chiesa, ne ricordiamo la porta d’ingresso fatta di legno pregiato con in rilievo figure di Santi e Beati, l’affresco immediatamente sopra e le stupende colonne che la fiancheggiano. Nello stesso convento sono ancora oggi conservate in buono stato due stupende tele raffiguranti S.Antonio e S.Alfonso.
Nunzio Di Rienzo |