Report dal World Social Forum di Nairobi (Kenya).
-Prima parte-
Partecipo al Forum Sociale Mondiale di Nairobi in rappresentanza della Provincia di Salerno e come portavoce di Assopace. Certo: la Tavola della Pace e lo stesso Coordinamento nazionale degli Enti locali per la Pace e i Diritti Umani hanno sostenuto la organizzazione del Forum e la partecipazione della numerosa delegazione italiana, ma sono qui, io come tantissimi, perché il Forum di Nairobi, mette al centro l’Africa. È la società civile mondiale che riparte da qui perché se un nuovo mondo deve essere possibile è da qui che bisogna cominciare. L’Africa è il nostro passato e il nostro futuro, è il luogo delle guerre dimenticate, della corruzione dei governi, delle colpe dell’occidente, del colonialismo e dei crimini delle politiche neoliberiste e delle multinazionali, della rapina delle immense risorse della terra, del 30% dei malati e dei contaminati di AIDS, della fame e della povertà, delle immense baraccopoli che assediano le capitali africane. È tutto quanto il peggio che i paesi sviluppati hanno mostrato e fatto, e anche il luogo da cui non può non ripartire il processo per la costruzione di un mondo diverso, un altro mondo possibile. Giusto, uguale, solidale. In Africa si muore, si muore per tutto quello che nel nostro mondo non si pensa che si possa più morire: fame, malaria, ebola, AIDS. E si muore per le guerre. Le guerre combattute con le armi dell’occidente, sostenute dall’occidente, per interessi dell’occidente. Guerre tribali, guerre dimenticate, e guerre di interessi, guerre di potenza, guerre disegnate sullo scenario della grande e misteriosa geopolitica. Ma l’Africa è la speranza, la scommessa. Arriviamo all’alba all’aeroporto di Nairobi. Qui è estate, poco sotto la linea dell’Equatore, a 1600 metri di altitudine. Scendiamo dall’aereo e attraversiamo a piedi la pista. I colori tenui dell’alba fanno più vasto sopra di noi un cielo grande, attraversato da un numero infinito di uccelli dai colori accesi. Le operazioni di sbarco sono lente. Dobbiamo capire da subito che i ritmi di vita, e di lavoro, non sono quelli nostri, nevrotici ed esasperati, quasi più non umani. Qui mantengono il ricordo di un altro rapporto, felice un tempo, con la natura e col mondo. Mi colpisce subito il gran numero di persone impiegato alle piccole mansioni per il disbrigo delle pratiche. Una ragazza siede davanti al nastro che trasporta i bagagli, guarda il monitori del controllo ai raggi X, mentre si applica a curare la pulizia e l’igiene dei propri piedi. Appena fuori ci aspettano i bus che devono portarci negli alberghi: sembra un miracolo che riescano a camminare. Gli autisti, con calma, aiutano a sistemare i bagagli. Con calma eseguono le manovre per uscire dal parcheggio. Attorno a noi, oramai, il cielo comincia ad accendersi di rosa intenso e uccelli mai visti, dai becchi enormi e ci sfiorano con le grandi ali. In albergo attenderemo alcune ore per avere assegnate le stanze. Tanto che avremo appena il tempo di posare le sacche e muoverci per raggiungere la marcia di apertura del Forum. La marcia è partita da Kibera, uno dei grandi slums che assediano la capitale. Nairobi dovrebbe contenere circa 4 milioni di persone, ma i numeri, in Africa, non dicono la verità. Metà vive nelle baraccopoli, e solo un piccola parte riesce a guadagnare, non si riesce a sapere in quale maniera 70 scellini al giorno, meno di un dollaro al giorno. La marcia è una esplosione di vitalità. Siamo subito inghiottiti dagli africani, tante donne, tantissimi bambini. Delle presenze politiche, della composizione della marcia avrete certamente sentito dai reportage dei nostri corrispondenti e dalle televisioni: non vi dico nulla dei cartelli contro Bush, dei cammelli che ad ogni passo rischiano di sbattere a terra qualche marciatore bianco. Non vi dico nemmeno degli striscioni su “Un mondo senza AIDS è possibile”, adattamento africano della concreta utopia che da anni ci muove. Ma vorrei trasmettervi la sensazione di orgoglio della presenza africana: delle donne, soprattutto. Lo sforzo per organizzare il Forum è stato enorme. I numeri lo dicono: un’intera area dentro e attorno ai complessi sportivi di Kazarani è stata disposta per ospitare migliaia di eventi grandi e piccoli del Forum,per accogliere un paio di centinaia di migliaia di partecipanti. L’aiuto c’è stato, dei cooperanti, dei volontari europei soprattutto e di alcuni governi, come quello italiano, che hanno dato contributi economici. Ma questo si presenta subito come un Forum dell’Africa e degli africani e non sull’Africa e i suoi problemi. D’altra parte è pur vero che il problema dell’Africa siamo noi, è stato ed è l’occidente, che ha reso povero un continente ricco. A tarda sera, ancora frastornati dai colori e dai suoni della marcia, ci ritroviamo in uno degli alberghi che ci ospitano per un primo incontro della delegazione italiana, la più numerosa. Inutile dire che i discorsi scontano preoccupazioni e aspettative che non registrano ancora le novità che potranno emergere solo dai lavori dei giorni seguenti. Ma è un utile riassunto delle questioni aperte sui grandi temi delle potenzialità dei movimenti, dei disastri delle politiche neocoloniali, dei limiti della cooperazione internazionale, delle colpe delle politiche dell’Europa, dei rischi delle strategie neoimperiali americane, del condizionamento delle strategie delle multinazionali. I perversi effetti degli aiuti umanitari e allo sviluppo, le resistenze dell’occidente all’annullamento del debito -quante volte dovranno pagarlo gli africani? E poi i conflitti, le guerre, le pandemie. La povertà e la fame. La mattina dopo andiamo a Korogocho, la sconfinata baraccopoli nella quale per 16 anni ha lavorato padre Zanotelli: father Alex, per tutti. Ma ve lo racconto domani.
Ernesto Scelza
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