La banda brigantesca di Gaetano Manzo che eseguì il sequestro di Giuseppe Mancusi, il giorno 27
giugno I872, alle ore 21.30, a Giffoni Valle Piana, ” era di 19 a 20 persone, si componeva però la
maggior parte di gregari, male armati, con pessimi fucili, e mal vestiti; meno sette o otto inclusi i
due Manzi, che vestivano di cardiglione ed erano benissimo armati di schioppi a due colpi e
revolvers”.
Il sequestro, audace e spettacolare, come ho già descritto, fu eseguito in Piazza
Iacolinupoli, in una rivendita di sali e tabacchi di proprietà di Ermenegildo Cappetta, poco distante
dall’abitazione del Mancusi, che si trovava nel palazzo dell'ex pretura. La foto tratta dall’archivio di
Costantino Cianciulli mostra l’allora piazza Iacolinupoli, alias Chiazzola, nel 1912.
E’ ancora
possibile scorgere proprio all’uscita dell’allora Via Annunziata, percorsa dalla banda, oggi vico
della Stella, la bottega dove fu prelevato a viva forza il Mancusi. Negli anni ‘20, raccontano alcuni
anziani di Giffoni un vecchio signore, mai visto prima, si aggirava assorto e scrutando ogni angolo
della piazza. Incuriosito un abitante del posto gli chiese chi cercava e si scoprì che quel forestiero
ben vestito, giacca e cravatta, altri non era che un ex componente della Guardia Nazionale di
Giffoni Valle Piana che aveva partecipato alle ricerche per scoprire la banda Manzi, ed era venuto a
Giffoni per visitare il luogo dove era avvenuto il sequestro. Potrebbe essere un flash–back, il
prologo, di un bel film sul brigantaggio nei picentini.
La banda armata dell’inafferrabile Gaetano
Manzo il giorno del sequestro era formata, oltre che dai gregari, dal “capitano” Gaetano Manzo, dal
cugino omonimo Gaetano Manzi fu Marcello, alias Manzitiello ”ferocissimo malfattore” dicono le
cronache (è il secondo da sinistra nella foto già pubblicata che ritrae la banda ad Acerno nel marzo
del I866 quando si arrese alle autorità), Antonio Bottone, Raffaele Luongo, Crescenzo Pantalena, di
anni 23, latitante dal 9 aprile 1872 (vedi foto), da Salvatore Vivolo, caciere, di anni 22, brigante dal
1867, segni particolari: due cicatrici, una alla fronte, l’altra sul mento.
Ne faceva parte anche
Andrea De Angelis, fabbroferraio, gia condannato a morte, evaso dal carcere di Chieti, di anni 28,
”un'altra belva sitibonda di sangue”, tutti di Acerno - un tal Vecchio…detto l’Olevanese di anni 27,
uscito di recente dal carcere “per associazione di malfattori”, da un Campagnese “di bassa statura,
tozzo di costituzione, biondo della barba e de’capelli, e di un altro detto il Volturarese di cui si
ignorano i connotati”. Gli altri componenti erano Giovanni De Pascale, detto “il cardinale” di
Montella e gli abruzzesi Giustino De Biase e Giuseppe Brighella, amici del Manzo, evasi dal
carcere di Palermo. Giuseppe Mancusi era con molta probabilità il più ricco proprietario terriero di
Giffoni Valle Piana. All’epoca del sequestro aveva 63 anni ed era infermo. Numerosi furono gli
arresti e gli interrogatori eseguiti dalle forze dell’ordine nei giorni successivi ad Acerno,
Montecorvino Rovella, Giffoni Valle Piana, ma della banda non si riusciva a trovare nessuna
traccia. “Sterminati sono i monti e le fitte e paurose boscaglie del territorio di Salerno per Baronissi,
Calvanico, Giffoni, Montecorvino ed Acerno vanno a raggiungere il tenimento di Campagna.
Qui
non strade, non sentieri ma rocce a precipizio, secolari gole, fitte così che è impossibile talvolta
all’uomo aprirsi un varco fra di esse” è scritto in un rapporto inviato al Giudice Istruttore di stanza a
Giffoni Valle Piana per l’inchiesta sul sequestro di Giuseppe Mancusi. Il primo a cadere nella rete
dei sospetti a Giffoni Valle Piana,”non essendo possibile che si fossero recati nell’abitato senza
grand’aiuti e guide sicure” fu Liborio Falconieri del villaggio di Calabrano che secondo una
testimonianza riferita da Alessandro Santoro al ricco industriale di legname Lorenzo D’Andria o
D’Andrea, gli aveva detto “che trovandosi colla comitiva capitanata da Gaetano Manzi da costui si
era progettato di eseguire il ricatto del Mancusi Giuseppe mentre si intratteneva la sera nel
magazzino di generi di privativa di Ermenegildo Cappetta.
Il Falconieri gli disse che volevano i
briganti eseguire tale ricatto, appostandosi la comitiva nella casa di Luigi Malangieri fu Michele,
che è giusto dirimpetto a quella del Sign. Mancusi, ma il Manzi non volle per paura di un qualche
tradimento. Il Falconieri aggiungeva che tale affare era stato organizzato da Domenico Faino di
Gauro e da Sebastiano De Cristofaro, massaro colla mandria ai Piani Grandi. Il D’Andria ciò
udendo pensò subito avvertire il Sign.Giuseppe, e poiché costui era a Napoli si recò dal suo nipote
Giovanni a cui tutto rilevò. E non pago ritornato il sign. Giuseppe il mattino del 23, recassi alla casa
di lui e lo ragguagliò delle rilevazioni avute, e gli progettò d’avvertire subito le autorità in Salerno,
ma il Mancusi rispose di volerne parlare prima al Brigadiere dei Carabinieri, prestando forse poca
fede ai detti del D’Andria. Interrogato il Sign.Mancusi per tale importantissima dichiarazione,
rigettate per filo e per segno quando aveva dichiarato il D’Andria, ed aggiunse che anche egli aveva
avvertito lo zio il quale avendone conferito col Brigadiere dei Carabinieri, questi gli aveva risposto
che riteneva infondata la voce che ci fossero briganti nella campagna.
Non più mancò dall’Autorità
di P.S. di chiamare anche l’Alessandro Santoro, la cui dichiarazione non fu scritta perché egli non
fece espressa preghiera per tema di essere ucciso dai briganti, sia perché faceva sperare che volesse
adoperarsi mediante largo compenso a far sorprendere la banda”. Questo episodio è l’ennesima
conferma che nonostante i numerosi indizi di un tentativo di sequestro in corso di preparazione, le
autorità locali e provinciali di Pubblica Sicurezza commisero in questa fase numerosi errori di
valutazione, sottovalutarono colpevolmente sia la “misteriosa” aggressione al cocchiere ma anche
precise testimonianze che se valutate in modo adeguato avrebbero permesso di scongiurare il
sequestro.
Per trovare i complici e i manutengoli e catturare la banda Manzo si utilizzavano senza
scrupolo anche sistemi illegali. Un solo esempio per tutti: un certo Salvatore Caputo fu arrestato dai
Carabinieri mentre si trovava nelle campagne di Prepezzano “in altitudine sospetta”. Proprio così:
”altitudine sospetta” è scritto nel rapporto datato 7 luglio 1872 e firmato dal Maggiore Enrico De
Rogatis.
Questa parte del dossier sul brigantaggio post-unitario nei Picentini è stato pubblicato quasi
integralmente sabato 28 ottobre 2006 sul quotidiano “il Salernitano”a firma di Walter Brancaccio.